Lo Zafferano dell’Umbria
La pianta, originaria dell’Asia Minore, fu impiegata fin dall’antichità per uso tintorio, farmacologico, cosmetico e gastronomico. Le sue proprietà erano note agli Egizi come conferma il Papiro di Ebers del 1550 a.C. ca, ma anche in ambito cretese-miceneo, tanto che il fiore dello zafferano
è raffigurato nelle pareti del Palazzo di Cnosso. Nella Bibbia e precisamente nel Cantico dei Cantici, lo zafferano viene associato alle piante più aromatiche e pregiate che nascono nel giardino. Conosciuto anche in India, è citato nei Veda, tra i più antichi testi del brahamanesimo ed ancora usato dai monaci buddisti per tingere le loro vesti. I Greci, successivamente i Romani e gli uomini del Medioevo, chiamarono la pianta “croco” (dal greco krokos).
Omero nell'Iliade indica il croco, insieme al loto e al giacinto, tra i fiori del letto di nuvole di Zeus, re dell’Olimpo. Il medico greco Ippocrate loda le sue facoltà farmacologiche raccomandandolo contro i reumatismi, la gotta e il mal di denti. Il collega Galeno addirittura lo prescrive per tutti i mali. I Romani lo usarono soprattutto in cucina: famose le ricette di
Apicio con salse a base di croco per condire il pesce. Gli Arabi lo diffusero in Spagna, che ancora oggi è la più grande produttrice di questa pianta. Si deve pertanto agli Arabi il mutamento nel corso del Medioevo del nome, da croco a zafferano. La parola deriva dal persiano sahafaran, da asfar (giallo), passato nell’arabo za'faran e quindi nello spagnolo azafran. Il giallo si riferisce al colore assunto dagli stimmi dopo la cottura.
Soprattutto in Italia, con lo sviluppo della civiltà mercantile del sec. XIII, lo zafferano fu coltivato e commerciato come pianta tintoria, in particolare per colorare panni di lana, seta, lino e fu usato anche nella pittura. Nel Medioevo continuò comunque anche l’uso farmacologico, come antispasmodico e sedativo, contro i dolori mestruali e dentali, l’insonnia, l’isteria. Lo zafferano fu ritenuto importante per la salute di stomaco, milza, fegato, cuore. Si pensò perfino che favorisse il parto, ritardasse la vecchiaia e aumentasse le capacità amatorie. Di conseguenza, oltre che in svariati liquori, nei profumi e nei cosmetici, lo zafferano ebbe largo impiego tra Medioevo e Rinascimento anche in cucina. Fu così la regina delle spezie prima che si diffondessero altre piante a seguito della scoperta dell’America.
La quantità di bulbi necessari per un superfice di 500 mq è di circa 400 Kg. I fiori vengono raccolti manualmente tra Ottobre e Novembre e solo nelle prime ore del mattino quando il fiore è ancora chiuso, poichè la luce diretta del sole potrebbe alterare le caratteristiche organolettiche degli stimmi. Nella stessa giornata, gli stimmi vengono separati dal fiore e essiccati mediante tostatura su brace di legna ad un temperatura non superiore ai 40° C.
In Italia centrale fu usato per condire carni di capretto, piccione, pollo, pesci quali lucci e tinche, minestre, frittate, formaggi, biscotti, frittelle... Fu accompagnato a farro, ceci, piselli, zucche, fave, rape, funghi…
Una pianta così magica non poteva non colpire i poeti, affascinati, tra l’altro, dalla bellezza del fiore violetto, dagli stimmi di un rosso infuocato e da un colorante dal giallo splendente