Tra fine maggio e i primi giorni di luglio, l'altopiano di Castelluccio è testimone di un evento di particolare importanza, La Fioritura. Per diverse settimane la monotonia cromatica del pascolo, viene spezzata da un mosaico di colori, con variazioni di toni che vanno dal giallo ocra al rosso. Anche se la festa della "Fiorita" ricade nella terza e nell' ultima domenica di Giugno, non esiste un preciso giorno per ammirare questo incantevole spettacolo. Ogni anno tutto è affidato all'andamento climatico della stagione. Le specie floreali che tingono il Pian Grande e il Pian Perduto in questo periodo, sono innumerevoli, camminando lungo i sentieri possiamo incontrare: genzianelle, narcisi, violette, papaveri, ranuncoli, asfodeli, viola Eugeniae, trifogli, acetoselle e tant'altro.
12 luglio 2014
6 luglio 2014
Norcia
Lungo il percorso per raggiungere Norcia, il viaggiatore incontrerà cime aspre, monti arrotondati, colli dal dolce profilo, gole e forre.
In fondo al cammino troverà la Pianura di Santa Scolastica, dove incontrerà la città fondata nel V secolo a.c. , racchiusa nella sua cinta muraria e pronta ad accogliere l'amante della natura, delle meravigliose vedute e dei pregiati sapori, con tutte e sette le sue porte spalancate.
Se il viaggiatore fosse giunto da queste parti nel Pliocene o nel Quaternario, avrebbe invece trovato la culla di un lago, che poi si svuoterà a causa di movimenti tellurici che aprirono il passo all'acqua, verso le Gole di Biselli.
Nella zona più bassa dell'altopiano si può trovare una delle zone più interessanti nelle immediate vicinanze delle mura nursine (XIII sec.). Si tratta di una vasta distesa di prati, circa 70 ettari, dove confluisce l'acqua che scorre giù dalle pendici montane e dalla vallata.
Da diversi secoli in questo luogo, denominato“le marcite”, esiste un sistema di irrigazione controllato da una serie di chiuse e canali, probabilmente realizzato dai monaci benedettini.
L'acqua, sommergendo costantemente il suolo, ne mantiene intatto il livello di umidità impedendo il congelamento d'inverno e la siccità nel periodo estivo.
Questo sistema permetteva di lavorare l'area in qualsiasi stagione, dando modo di ottenere tra i 6 e i 10 tagli di foraggio durante l'anno.
Le Marcite, come quasi tutto il piano di Santa Scolastica fanno parte del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Il Parco, nato nel 1993 si estende per 70.000 ettari a cavallo tra Marche e Umbria.
Proseguendo verso nord troviamo la cima più alta dell'anfiteatro montano che si affaccia verso Norcia, Monte Patino (1883 m).
Alle sue pendici, superando la Forca di Ancarano si apre la Valle Castoriana, dalla quale si può raggiungere Preci, un piccolo centro dagli interessanti aspetti storici ed artistici.
Nasce proprio a Preci, una delle più antiche scuole chirurgiche all'interno dell'Abbazia di Sant'Eutizio. Questa struttura risale all' VIII secolo ed è una delle Abbazie più belle e meglio conservate del territorio Umbro.
Lungo la strada per arrivare a Preci, vale la pena fare una sosta per visitare le chiese di S. Salvatore e S. Andrea.
In fondo al versante opposto della conca nursina, sorge il centro abitato di S. Marco che grazie ai suoi 1.100m d'altezza domina l'intera pianura. Proprio grazie alla posizione sopraelevata e vicina al confine con il Regno di Napoli, assunse in tempi remoti un ruolo strategico di primaria importanza.
Al giorno d'oggi la posizione elevata da la possibilità al viaggiatore di godere del bellissimo paesaggio, che diventa ancora più prezioso quando il sole cala sulle curve morbide dei monti circostanti.
Proprio da questi luoghi, parte il sentiero che conduce ai bellissimi Pantani di Accumoli.
Vicino S. Marco, possiamo trovare uno dei pezzi pregiati del circondario nursino e del Parco Nazionale ovvero la famosa Quercia di Nottoria.
Si tratta di una quercia pluricentenaria risalente circa al XVII sec. tra le più grandi d'Italia, l'esemplare si trova presso il piccolo centro montano chiamato Nottoria.
Facendo un salto oltre la catena montuosa che circonda il Piano di Santa Scolastica sul versante occidentale troviamo uno dei centri abitati più famosi, caratteristici, suggestivi ed unici dell'appennino italiano.
Fondato nel XIII secolo e Raggiungibile con soli trenta minuti d'auto da Norcia, Castelluccio, con i suoi 1453 m s.l.m. è uno dei borghi montani più alti dell'appennino.
Situato in cima ad un colle in fondo al Pian Grande, nasceva per difendere dalle mire espansionistiche dei vicini marchigiani i possedimenti degli abitanti nursini. Attualmente, il segno più concreto dell'abitato originale è la porta d'accesso al paese, che immette nella piazzetta della chiesa dedicata a S. Maria Assunta.
Il viaggiatore noterà anche delle curiose scritte fatte con la calce sui muri degli edifici, sono frasi fortemente satiriche e pungenti che commentano alcuni fatti particolarmente rilevanti della vita sociale del paese.
Molte sono le leggende e le storie ambientate in questi luoghi, basta aprire una qualsiasi mappa o guida per realizzare che toponimi quali Monte Sibilla, Sentiero delle Fate, Grotta della Sibilla, Pizzo del Diavolo, Lago di Pilato, sono dei chiari richiami al mondo occulto, magico e tradizionale di queste zone.
Diversi scrittori hanno citato e ambientato le loro storie in queste zone, Andrea da Barberino (1370 – 1432 ca), ambientò parte del suo romanzo cavalleresco “Il Guerin Meschino” presso i Monti Sibillini, dove risiedeva secondo le leggende la Sibilla Appenninica. Numerosi filologi, viste alcune analogie, ritengono che la storia del Guerin Meschino abbia ispirato anche la leggenda tradizionale tedesca del Tannhauser.
Antoine de La Sale (1388 – 1462 ca) scrittore satirico francese, su commissione della Duchessa di Agnese Borgogna, si occupò della descrizione dell'ipogeo della Grotta della Sibilla partendo da alcuni racconti popolari raccolti sul posto. A causa delle frane risalenti all'alto medioevo lo scrittore riuscì a disegnarne soltanto una parte.
La pianta topografica disegnata dal francese, è conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi.
Questi luoghi, grazie alle leggende e alle storie narrate emanano suggestioni e magia, veri e propri valori aggiunti alla bellezza, che si manifesta appena il viaggiatore arriva al valico che conduce verso il centro abitato di Castelluccio.
Lo sguardo sarà libero di percorrere indisturbato i 7 Km che lo separano da Castelluccio, incontrando nel mezzo il “Fosso dei Mergani”, la “Macchia Cavaliera” e il Monte Vettore.
Nel periodo tra maggio e giugno il Pian Grande è colorato da una meravigliosa fioritura. Il Giallo, il rosso, il viola ed altri colori renderanno il panorama ancora più indimenticabile e mozzafiato.
Castelluccio ancora oggi, forte della sua posizione dominante, rappresenta una sorta di ultimo avamposto al servizio della bellezza dei Sibillini.
3 luglio 2014
Monte Nerone
Il Monte Nerone è una vetta della catena appenninica umbro-marchigiana, situato nei comuni di Apecchio, Cagli e Piobbico, in provincia di Pesaro e Urbino; la sua vetta raggiunge la quota di 1525 m s.l.m.. Il dislivello di 1200 m, tra le pendici ove sono situati i paesi e la sommità offre una varietà di vegetazione, paesaggio, ampio ed interessante
L'origine del nome è incerta: si narra che il console Gaio Claudio Nerone nella battaglia del Metauro contro i cartaginesi di Asdrubale Barca inseguì i Galli fino alla vetta della montagna, da cui il nome. Un'altra leggenda vuole che un certo Domizio
L'origine del nome è incerta: si narra che il console Gaio Claudio Nerone nella battaglia del Metauro contro i cartaginesi di Asdrubale Barca inseguì i Galli fino alla vetta della montagna, da cui il nome. Un'altra leggenda vuole che un certo Domizio
30 giugno 2014
Gubbio, le tavole, gli umbri
Che cosa sono le Tavole di Gubbio?
Le sette tavole di bronzo furono trovate nell'area del teatro romano di Iguvium intorno alla metà del Quattrocento: il Gabrielli nel 1581 pone il ritrovamento nell'anno 1444, ma l'unico documento certo è l'atto notarile del 1456 con il quale il Comune di Gubbio acquista le tavole da una certa Presentina, che le aveva trovate.
Si tratta di fusioni in bronzo realizzate con il metodo della “cera persa” (Agostiniani 2010) per preservare antichissimi testi conservati negli archivi della confraternita Atiedia, che sino ad allora dovevano essere stati copiati su materiale deperibile (tela, pelli, foglie, legno).
Le tavole sono state redatte in momenti diversi e da mani diverse, ad uso dei membri della Confraternita Atiedia che gestiva le cerimonie pubbliche a Gubbio. La presenza di fori per l'affissione dipende dal fatto che in un secondo momento (forse in epoca augustea) le tavole furono esposte, probabilmente per esaltare la nobiltà delle radici culturali di Iguvium.
In base all’analisi dei caratteri epigrafici (confortata oggi dalle analisi fisiche), si può dire che la tavola III e la tavola IV sono state fuse alla fine del III sec.a.C., mentre le tavole I e Il risalgono all’inizio del Il sec.a.C.; la tavola V è stata stesa in grafia epicoria dopo che in Umbria era stato introdotto l'alfabeto latino e quindi intorno alla metà del Il sec.a.C.; la stesura di quelle in alfabeto latino (tavole VI e VII) va attribuita all'inizio del I sec.a.C.
Contenuti delle Tavole
L’estensione dei testi e i corpi fisici delle tavole non si corrispondono. Nelle sette tavole si possono distinguere nove testi come segue: (1) una redazione compendiaria della cerimonia piaculare e di quella lustrale contenuta nelle due facce della I tavola; (2) una redazione estesa delle due stesse cerimonie contenuta nelle tavole VI (facce a e b) e VII (faccia a); (3) una stesura delle prescrizioni relative alla cerimonia "per auspici avversi” contenuta nella faccia a della Il tavola; (4) un testo relativo al sacrificio del cane, nella stessa faccia a della Il tavola; (5) il dettato concernente la cerimonia delle riunioni tributarie, che occupa la faccia b della lI tavola; (6) il complesso cerimoniale delle Sestentasie, che si estende nelle tavole III e IV; (7) le norme sui compensi e sulle multe che regolano le funzioni dell’officiante, che occupano la tavola V nella faccia a e in parte della b; (8) le norme tributarie che riguardano gli scambi tra le comunità confederate e la confraternita, nella faccia b della V tavola; (9) doveri e multe del capo dei confratelli, nella faccia b della VII tavola.
Gli archetipi
Per il testo del piaculo e della lustrazione dovevano esistere due archetipi, uno dei quali, più antico, è stato riassunto nella tavola I, mentre l'altro, più recente, è all'origine del testo delle tavole VI e VII. Non si deve dunque pensare che la redazione breve delle due cerimonie sia il riassunto della redazione lunga delle stesse.
L’importanza delle Tavole
Delle tavole di Gubbio si può ben dire come del «più importante testo rituale di tutta l'anti chità classica ... »: acquisizione sul piano scientifico (Devoto 1974) di ciò che dovette apparire sul piano emozionale ad uno studioso meno noto della prima metà del Sette cento (Bagnolo 1792, postumo): «documento sommamente prezioso, a cui altro simile fra tanti avanzi dell'antichità non è rimaso in tal genere, che ci presenti a disteso tutta l'intera serie, e l'eco nomia di quella sagra funzione» .
Sono sempre state sette.
La tesi che le tavole fossero 9 e che due si siano perdute a causa di un loro trasferimento a Venezia nasce da un equivoco diffuso da Lean dro Alberti (1550) nella sua “Descrittione di tutta Italia”. Fonte di un altro errore è Stefano da Cremona che, nella traduzione italiana della sua “Vita di S.Ubaldo” (1523), parla di 4 tavole in caratteri latini e 4 in caratteri etruschi; mentre nell’originale in latino del 1519 ne aveva menzionate sette.
Aspetti della religione umbra
Superstrato e sostrato
Nell’Italia preromana vanno distinte due fasi culturali, entrambe di ascendenza indeuropea: una pertinente all’età del bronzo recente, quella che chiamiamo “paleoumbra” e una pertinente all’età del ferro, che chiamiamo safina. La prima era portatrice di una visione bipartita del divino, uranio (celeste) e ctonio (interno al terreno); la seconda di una visione tripartita, quella che vede il divino (come l’umano) articolato in potere della parola magica e creatrice, potere della forza materiale, potere della vitalità e della fecondità. Nel mondo delle Tavole le due esperienze culturali sono intrecciate e fuse.
La triade Grabovia
La triade Grabovia è costituita da Giove Grabovio, da Marte Grabovio e da Vofione Grabovio. La presenza di quest'ultimo teonimo sullo stesso piano dei precedenti induce a credere che anch’esso avesse fin da epoca preistorica una funzione centrale nel sistema ideologico. Appare corretta la vecchia tesi secondo cui l'umbro Vofion- vale 'divinità del clan', e come tale è espressione della funzione riproduttiva. È il corrispondente umbro del romano Liber di età arcaica, prima che perdesse i caratteri di divinità dei liberi per assumere quelli dovuti alla sua identificazione con Dioniso.
Poiché nel pantheon iguvino la religiosità delle genti “safine” è coordinata con quella delle genti “paleoumbre” dell'Italia centrale, sarà legittimo pensare che le tre divinità Giove Marte e Vofione hanno l'attributo di Grabovio in quanto invocate in funzione Grabovia, cioè in quanto esprimono i caratteri propri di una divinità locale paleoumbra, Grabo appunto, di cui assumono il posto.
Giove padre
Si staglia su tutte le altre divinità quella di Giove padre, che è il patrono del monte Fisio (quello che domina Iguvium) e della confraternita Atiedia. Conserva i caratteri indeuropei della sacralità e della regalità e rappresenta anche in territorio italico la funzione sacerdotale tipica del paterfamilias indeuropeo.
Marte agrario e guerriero
Oltre a Giove, l'altro solo teonimo iguvino che può essere considerato in qualche misura ereditario è quello di Marte, divinità dalle funzioni agrarie e guerriere al contempo. La cosa si capisce ricordando che già nella tradizione indeuropea il signore dei beni agropastorali è anche uomo d'arme: e l’ottimate italico ben compendia questi caratteri, come ricorda la figura di Cincinnato.
Religiosità dei teologi e religiosità popolare
Le divinità iguvine sono lo sviluppo più avanzato della idea di “funzione divina”, già presente nel sistema ideologico indeuropeo. Si deve però tener conto che la religiosità che si esprime nelle tavole è quella dei teologi della Confraternita: questa appare ben diversa da quella religiosità popolare umbra che ha lasciato come sua traccia più vistosa i numerosi “bronzetti italici” rinvenuti dagli archeologi, (immagini di dèi rozzamente antropomorfe deposte in terreno consacrato).
La “teologia dell’Atto”
Dalla religiosità indeuropea ereditaria si è sviluppata in ambiente italico una vera e propria rivoluzione teologica, grazie alla quale il divino è stato visto manifestarsi in ogni Azione ideologicamente significativa per la comunità. Questo è stato possibile inquadrando inizialmente le Azioni nell’ ambito di attività di un “dio tradizionale”.
Una volta avviatasi la nuova “teologia dell’Atto”, alcune nozioni si sono trovate subordinate all’ambito di un “nome divino”, ma altre sono poi state direttamente divinizzate senza l’immissione in una sfera del divino tradizionale. Nel primo caso l’assegnazione si esprime attraverso binomi, come Tefro Giovio ‘il Focolare’ (appartenente all’ambito di Giove) o come Ahtu Marzio ‘l’Atto sacrificale’ (in questo caso espressione di Marte); nel secondo si hanno dei monomi, come Spetur ‘l’Osservatore’ (augurale) o Pordoviente ‘l’Offertorio’, che non sono assegnati a questo o quell’ambito divino, essendo propri di tutti i sacrifici.
Gli ”ambiti del divino”
Divinità dell’Atto di ambito "giovio" sono Tefro 'il Focolare' (umbro tefro- da *teps-ro- 'riscaldatore'), Trebo 'l’Abitato' (da *treb-o- 'edificazione'), Hondo 'il Vittorioso' (da *ghoundh-o- 'sconfiggitore'), Torsa 'la Fuga' (dei nemici, da *tors-a- 'terrorizzatrice'), Dicamno 'la Dedicazione' (nel sacrificio, da *dika-m(e)no- 'che viene dedicato'), Ahtu 'l’Azione' (sacrificale, da *ag-tu- 'azione').
Divinità dell’Atto di ambito "marzio" sono Ahtu Marzio 'l’Azione' (sacrificale), Picovio Marzio 'il Picchio' (augurale), Çerfo Marzio 'il Principio della crescita' (vegetativa).
Çerfo è un "rimpiazzo" dovuto all'imporsi di un ambiente speculativo legato alla logica triadica, su di un ambiente in cui Marte aveva da tempo assorbito in sé due delle tre funzioni ereditarie. Infatti esistono un Ahtu Giovio e un Ahtu Marzio, ma non un *Ahtu Çerfio, in quanto Ahtu è l' 'Azione Sacrificale', ed esprime la presenza del divino nell'ambito del sacrificio: e questo è attributo tradizionale di Giove e di Marte, non di Çerfo.
Fisovio Sancio
Il teonimo Fisovio Sancio è il rifacimento di un appellativo che in origine doveva suonare dieus fissios sankios col significato di ‘Giove protettore della sacralità dell’impegno’. Corrisponde al latino Dius Fidius e al greco ‘Giove protettore della parola data’. Fiso rappresenta la sacralità dell'impegno tra gli uomini, Fisovio quella tra l'uomo e la divinità.
Aspetti della ritualità
Rito uranio e rito ctonio
Nel culto iguvino si osservano due procedure rituali differenziate: il rito “uranio” e quello “ctonio”. Nel caso del primo le vittime si consacrano sul tavolato e le viscere si offrono nel fuoco dell’ara; nel caso del secondo le vittime si consacrano per terra e le viscere si offrono nella “fossa”. Il tutto in perfetta coerenza con le divinità rispettivamente del cielo e della terra.
Il poni consacrante
L’espressione poni fetu, cioè ‘consacri con il poni’ è usata in ben 18 sacrifici iguvini. L’umbro poln-i- coincide formalmente con il latino pollen ‘fior di farina’, e funzionalmente corrisponde al latino mola salsa, la ‘farina di farro tostata e salata’ usata a Roma per la consacrazione. Anche il poni umbro era ‘tostato’: nella tav.IV alle righe 30-31 si parla appunto di poni frehto ‘farina tostata’.
L’impasto sacrificale
Una delle offerte incruente più importanti è la uestiśa, termine umbro che traduciamo con ‘impasto’, giacché coincide perfettamente con l’aggettivo latino depsticius 'ben impastato' (Catone, De Agr. 74). Si tratta di un antichissimo prestito miceneo che in latino si è affermato con d- originale, mentre in umbro è continuato nella variante con “l- sabino" (un l- iniziale in umbro è di norma reso con u-/v-). Numerose sono le coincidenze tra i nomi dei “pani sacrificali” iguvini e quelli romani: ficla:fitilla, mefa:mensa, struçla:struicula, fasio:farreum, arçlata: arculata.
La tauromachia italica
Il rito della fuga delle 12 giovenche (il numero risulta dalla tav. VII b) per le vie dell’abitato e della loro cattura si inquadra nella antichissima tradizione preindeuropea delle tauromachie di ambiente mediterraneo, di cui sopravvivono ancor oggi diversi esempi. Il più famoso è forse la corrida di Pamplona; meno nota, ma in perfetta coerenza è anche la “caccia del bove” a Montefalco (Perugia).
La barella rituale
Saranno casuali le coincidenze con alcuni aspetti dell'attuale preparazione delle barelle dei famosi Ceri di Gubbio? La dimensione della barella antica non poteva essere molto diversa da quella delle "barelle" dei Ceri, se sulla struttura dovevano trovare posto il porcellino e la pecora. Inoltre si scorge una similarità nel fatto che appena fuori dalla città, al "campo", si dovesse procedere all'assemblaggio delle parti della kletra, come in parte avviene per i "Ceri" quando, usciti dalla porta di S.Ubaldo, ripartono, come se la corsa avesse inizio da quel punto.
Gli Antichi Umbri nella storia
Il patto federale
Il sacrificio delle “riunioni tributarie” (Tavola II faccia b) ripete l’ antichissimo rituale della stipulazione del patto federale tra le comunità, patto sancito dalla Confraternita Atiedia, che della federazione stessa è espressione. La sacralità del "patto a dieci" e del dettato cerimoniale ormai costituitosi impedivano ogni variazione, sicché l'elenco dei contraenti, evidentemente variato nel tempo, è stato aggiornato attraverso un "escamotage": le comunità che hanno aderito al patto federale dopo la sua stipulazione iniziale sono entrate come estensione di una delle dieci comunità originarie, presentandosi insomma come "clonazioni" delle stesse.
La colletta del farro consacrante
È stata accuratamente valutata la quantità di farro selezionato che i due incaricati devono ricevere dalle varie comunità in occasione delle “riunioni tributarie”: si tratta in tutto di kg. 8,186, esattamente pari a un modio romano. Un quantitativo chiaramente simbolico e troppo scarso per permetterne la semina (per uno iugero occorreva seminare 4 o 5 modii di farro), sicché non resta che ritenere che il farro raccolto dai due uomini fosse destinato a divenire farina consacrante, poni frehto (F.Roncalli, Sulla cultura del farro nell’Italia Antica, Atti del Convegno CEDRAV 1995).
Il nome degli Umbri
Nelle tavole non compare mai il termine “Umbri”, anche se è certo che fin dalle epoche più remote questo nome fosse usato in riferimento agli abitanti di una vastissima zona tra il Po e il Tevere, come testimoniano gli storici greci. Non va poi dimenticato che in una iscrizione picena arcaica si dice “nell’agro Umbro” (ombriìen akren) e che un personaggio in territorio etrusco si firmava Ombrikos nel VI sec.a.C.
L’unità culturale umbro-piceno-sabina
Si può anche assegnare un supporto archeologico all'unità culturale che nei primi secoli del primo millennio a.C. abbraccia il mondo piceno, quello umbro e quello sabino. Già all'inizio degli anni Sessanta si era infatti individuata la sostanziale unità delle facies culturali dell'intera area nei secoli dal IX al VI a.C. In particolare: l'identità del sistema di sepoltura, costituito dalle cosiddette tombe a circolo, la presenza dello stesso culto della dea Cupra, l'usanza di porre nei santuari i bronzetti votivi del cosiddetto Marte italico, l'impiego di dischi ornati come pettorale e schienale di corazza (si pensi al tipo rappresentato nel famoso guerriero di Capestrano). L'epoca di pertinenza dei reperti garantisce che si ha di fronte una serie di manifestazioni della cultura "safina", la cui uniformità è certamente stata favorita dall'uniformità del sostrato ("paleoumbro") già presente nel territorio. Né per oggetti come questi si può pensare al fenomeno della diffusione lungo linee commerciali, giacché si tratta in buona parte di evidenti espressioni di ideologia, culto e tradizione comuni, come è dimostrato da diversi passi delle Tavole di Gubbio.
L’incontro con le grandi potenze
L'esistenza di una realtà politica umbra diviene un fatto storico quando la tradizione letteraria attesta la partecipazione degli Umbri come alleati degli Etruschi alle spedizioni contro Cuma e la Campania, nel VI sec. a.C.; avventura che si concluderà con la sconfitta di fronte all'alleanza tra Cumani e Romani. Iniziano così indirettamente le ostilità tra Umbri e Romani, che durarono due secoli, senza tuttavia che la tradizione storica ne abbia fatto un tema di rilievo.
La penetrazione romana
Nel 310 a.C. il console Fabio Massimo Rulliano stabilisce un patto di alleanza con la tota umbra di Camerte (odierna Camerino) e nel 309 un'altra tota umbra, Ocriculum (odierna Otricoli), diviene alleata di Roma. Nel 299 Roma conquista la tota umbro-sabina di Nequinum e vi fonda la colonia romana di Narnia (odierna Narni). Nel 295 nel territorio della tota umbra di Sentinum cade il baluardo che si opponeva alla penetrazione romana verso nord. L'unico tentativo serio di ribellione a Roma dopo quella data sarà quello degli Umbri di Sarsina, conquistata definitivamente nel 266 a.C.
Le sette tavole di bronzo furono trovate nell'area del teatro romano di Iguvium intorno alla metà del Quattrocento: il Gabrielli nel 1581 pone il ritrovamento nell'anno 1444, ma l'unico documento certo è l'atto notarile del 1456 con il quale il Comune di Gubbio acquista le tavole da una certa Presentina, che le aveva trovate.
Si tratta di fusioni in bronzo realizzate con il metodo della “cera persa” (Agostiniani 2010) per preservare antichissimi testi conservati negli archivi della confraternita Atiedia, che sino ad allora dovevano essere stati copiati su materiale deperibile (tela, pelli, foglie, legno).
Le tavole sono state redatte in momenti diversi e da mani diverse, ad uso dei membri della Confraternita Atiedia che gestiva le cerimonie pubbliche a Gubbio. La presenza di fori per l'affissione dipende dal fatto che in un secondo momento (forse in epoca augustea) le tavole furono esposte, probabilmente per esaltare la nobiltà delle radici culturali di Iguvium.
In base all’analisi dei caratteri epigrafici (confortata oggi dalle analisi fisiche), si può dire che la tavola III e la tavola IV sono state fuse alla fine del III sec.a.C., mentre le tavole I e Il risalgono all’inizio del Il sec.a.C.; la tavola V è stata stesa in grafia epicoria dopo che in Umbria era stato introdotto l'alfabeto latino e quindi intorno alla metà del Il sec.a.C.; la stesura di quelle in alfabeto latino (tavole VI e VII) va attribuita all'inizio del I sec.a.C.
Contenuti delle Tavole
L’estensione dei testi e i corpi fisici delle tavole non si corrispondono. Nelle sette tavole si possono distinguere nove testi come segue: (1) una redazione compendiaria della cerimonia piaculare e di quella lustrale contenuta nelle due facce della I tavola; (2) una redazione estesa delle due stesse cerimonie contenuta nelle tavole VI (facce a e b) e VII (faccia a); (3) una stesura delle prescrizioni relative alla cerimonia "per auspici avversi” contenuta nella faccia a della Il tavola; (4) un testo relativo al sacrificio del cane, nella stessa faccia a della Il tavola; (5) il dettato concernente la cerimonia delle riunioni tributarie, che occupa la faccia b della lI tavola; (6) il complesso cerimoniale delle Sestentasie, che si estende nelle tavole III e IV; (7) le norme sui compensi e sulle multe che regolano le funzioni dell’officiante, che occupano la tavola V nella faccia a e in parte della b; (8) le norme tributarie che riguardano gli scambi tra le comunità confederate e la confraternita, nella faccia b della V tavola; (9) doveri e multe del capo dei confratelli, nella faccia b della VII tavola.
Gli archetipi
Per il testo del piaculo e della lustrazione dovevano esistere due archetipi, uno dei quali, più antico, è stato riassunto nella tavola I, mentre l'altro, più recente, è all'origine del testo delle tavole VI e VII. Non si deve dunque pensare che la redazione breve delle due cerimonie sia il riassunto della redazione lunga delle stesse.
L’importanza delle Tavole
Delle tavole di Gubbio si può ben dire come del «più importante testo rituale di tutta l'anti chità classica ... »: acquisizione sul piano scientifico (Devoto 1974) di ciò che dovette apparire sul piano emozionale ad uno studioso meno noto della prima metà del Sette cento (Bagnolo 1792, postumo): «documento sommamente prezioso, a cui altro simile fra tanti avanzi dell'antichità non è rimaso in tal genere, che ci presenti a disteso tutta l'intera serie, e l'eco nomia di quella sagra funzione» .
Sono sempre state sette.
La tesi che le tavole fossero 9 e che due si siano perdute a causa di un loro trasferimento a Venezia nasce da un equivoco diffuso da Lean dro Alberti (1550) nella sua “Descrittione di tutta Italia”. Fonte di un altro errore è Stefano da Cremona che, nella traduzione italiana della sua “Vita di S.Ubaldo” (1523), parla di 4 tavole in caratteri latini e 4 in caratteri etruschi; mentre nell’originale in latino del 1519 ne aveva menzionate sette.
Aspetti della religione umbra
Superstrato e sostrato
Nell’Italia preromana vanno distinte due fasi culturali, entrambe di ascendenza indeuropea: una pertinente all’età del bronzo recente, quella che chiamiamo “paleoumbra” e una pertinente all’età del ferro, che chiamiamo safina. La prima era portatrice di una visione bipartita del divino, uranio (celeste) e ctonio (interno al terreno); la seconda di una visione tripartita, quella che vede il divino (come l’umano) articolato in potere della parola magica e creatrice, potere della forza materiale, potere della vitalità e della fecondità. Nel mondo delle Tavole le due esperienze culturali sono intrecciate e fuse.
La triade Grabovia
La triade Grabovia è costituita da Giove Grabovio, da Marte Grabovio e da Vofione Grabovio. La presenza di quest'ultimo teonimo sullo stesso piano dei precedenti induce a credere che anch’esso avesse fin da epoca preistorica una funzione centrale nel sistema ideologico. Appare corretta la vecchia tesi secondo cui l'umbro Vofion- vale 'divinità del clan', e come tale è espressione della funzione riproduttiva. È il corrispondente umbro del romano Liber di età arcaica, prima che perdesse i caratteri di divinità dei liberi per assumere quelli dovuti alla sua identificazione con Dioniso.
Poiché nel pantheon iguvino la religiosità delle genti “safine” è coordinata con quella delle genti “paleoumbre” dell'Italia centrale, sarà legittimo pensare che le tre divinità Giove Marte e Vofione hanno l'attributo di Grabovio in quanto invocate in funzione Grabovia, cioè in quanto esprimono i caratteri propri di una divinità locale paleoumbra, Grabo appunto, di cui assumono il posto.
Giove padre
Si staglia su tutte le altre divinità quella di Giove padre, che è il patrono del monte Fisio (quello che domina Iguvium) e della confraternita Atiedia. Conserva i caratteri indeuropei della sacralità e della regalità e rappresenta anche in territorio italico la funzione sacerdotale tipica del paterfamilias indeuropeo.
Marte agrario e guerriero
Oltre a Giove, l'altro solo teonimo iguvino che può essere considerato in qualche misura ereditario è quello di Marte, divinità dalle funzioni agrarie e guerriere al contempo. La cosa si capisce ricordando che già nella tradizione indeuropea il signore dei beni agropastorali è anche uomo d'arme: e l’ottimate italico ben compendia questi caratteri, come ricorda la figura di Cincinnato.
Religiosità dei teologi e religiosità popolare
Le divinità iguvine sono lo sviluppo più avanzato della idea di “funzione divina”, già presente nel sistema ideologico indeuropeo. Si deve però tener conto che la religiosità che si esprime nelle tavole è quella dei teologi della Confraternita: questa appare ben diversa da quella religiosità popolare umbra che ha lasciato come sua traccia più vistosa i numerosi “bronzetti italici” rinvenuti dagli archeologi, (immagini di dèi rozzamente antropomorfe deposte in terreno consacrato).
La “teologia dell’Atto”
Dalla religiosità indeuropea ereditaria si è sviluppata in ambiente italico una vera e propria rivoluzione teologica, grazie alla quale il divino è stato visto manifestarsi in ogni Azione ideologicamente significativa per la comunità. Questo è stato possibile inquadrando inizialmente le Azioni nell’ ambito di attività di un “dio tradizionale”.
Una volta avviatasi la nuova “teologia dell’Atto”, alcune nozioni si sono trovate subordinate all’ambito di un “nome divino”, ma altre sono poi state direttamente divinizzate senza l’immissione in una sfera del divino tradizionale. Nel primo caso l’assegnazione si esprime attraverso binomi, come Tefro Giovio ‘il Focolare’ (appartenente all’ambito di Giove) o come Ahtu Marzio ‘l’Atto sacrificale’ (in questo caso espressione di Marte); nel secondo si hanno dei monomi, come Spetur ‘l’Osservatore’ (augurale) o Pordoviente ‘l’Offertorio’, che non sono assegnati a questo o quell’ambito divino, essendo propri di tutti i sacrifici.
Gli ”ambiti del divino”
Divinità dell’Atto di ambito "giovio" sono Tefro 'il Focolare' (umbro tefro- da *teps-ro- 'riscaldatore'), Trebo 'l’Abitato' (da *treb-o- 'edificazione'), Hondo 'il Vittorioso' (da *ghoundh-o- 'sconfiggitore'), Torsa 'la Fuga' (dei nemici, da *tors-a- 'terrorizzatrice'), Dicamno 'la Dedicazione' (nel sacrificio, da *dika-m(e)no- 'che viene dedicato'), Ahtu 'l’Azione' (sacrificale, da *ag-tu- 'azione').
Divinità dell’Atto di ambito "marzio" sono Ahtu Marzio 'l’Azione' (sacrificale), Picovio Marzio 'il Picchio' (augurale), Çerfo Marzio 'il Principio della crescita' (vegetativa).
Çerfo è un "rimpiazzo" dovuto all'imporsi di un ambiente speculativo legato alla logica triadica, su di un ambiente in cui Marte aveva da tempo assorbito in sé due delle tre funzioni ereditarie. Infatti esistono un Ahtu Giovio e un Ahtu Marzio, ma non un *Ahtu Çerfio, in quanto Ahtu è l' 'Azione Sacrificale', ed esprime la presenza del divino nell'ambito del sacrificio: e questo è attributo tradizionale di Giove e di Marte, non di Çerfo.
Fisovio Sancio
Il teonimo Fisovio Sancio è il rifacimento di un appellativo che in origine doveva suonare dieus fissios sankios col significato di ‘Giove protettore della sacralità dell’impegno’. Corrisponde al latino Dius Fidius e al greco ‘Giove protettore della parola data’. Fiso rappresenta la sacralità dell'impegno tra gli uomini, Fisovio quella tra l'uomo e la divinità.
Aspetti della ritualità
Rito uranio e rito ctonio
Nel culto iguvino si osservano due procedure rituali differenziate: il rito “uranio” e quello “ctonio”. Nel caso del primo le vittime si consacrano sul tavolato e le viscere si offrono nel fuoco dell’ara; nel caso del secondo le vittime si consacrano per terra e le viscere si offrono nella “fossa”. Il tutto in perfetta coerenza con le divinità rispettivamente del cielo e della terra.
Il poni consacrante
L’espressione poni fetu, cioè ‘consacri con il poni’ è usata in ben 18 sacrifici iguvini. L’umbro poln-i- coincide formalmente con il latino pollen ‘fior di farina’, e funzionalmente corrisponde al latino mola salsa, la ‘farina di farro tostata e salata’ usata a Roma per la consacrazione. Anche il poni umbro era ‘tostato’: nella tav.IV alle righe 30-31 si parla appunto di poni frehto ‘farina tostata’.
L’impasto sacrificale
Una delle offerte incruente più importanti è la uestiśa, termine umbro che traduciamo con ‘impasto’, giacché coincide perfettamente con l’aggettivo latino depsticius 'ben impastato' (Catone, De Agr. 74). Si tratta di un antichissimo prestito miceneo che in latino si è affermato con d- originale, mentre in umbro è continuato nella variante con “l- sabino" (un l- iniziale in umbro è di norma reso con u-/v-). Numerose sono le coincidenze tra i nomi dei “pani sacrificali” iguvini e quelli romani: ficla:fitilla, mefa:mensa, struçla:struicula, fasio:farreum, arçlata: arculata.
La tauromachia italica
Il rito della fuga delle 12 giovenche (il numero risulta dalla tav. VII b) per le vie dell’abitato e della loro cattura si inquadra nella antichissima tradizione preindeuropea delle tauromachie di ambiente mediterraneo, di cui sopravvivono ancor oggi diversi esempi. Il più famoso è forse la corrida di Pamplona; meno nota, ma in perfetta coerenza è anche la “caccia del bove” a Montefalco (Perugia).
La barella rituale
Saranno casuali le coincidenze con alcuni aspetti dell'attuale preparazione delle barelle dei famosi Ceri di Gubbio? La dimensione della barella antica non poteva essere molto diversa da quella delle "barelle" dei Ceri, se sulla struttura dovevano trovare posto il porcellino e la pecora. Inoltre si scorge una similarità nel fatto che appena fuori dalla città, al "campo", si dovesse procedere all'assemblaggio delle parti della kletra, come in parte avviene per i "Ceri" quando, usciti dalla porta di S.Ubaldo, ripartono, come se la corsa avesse inizio da quel punto.
Gli Antichi Umbri nella storia
Il patto federale
Il sacrificio delle “riunioni tributarie” (Tavola II faccia b) ripete l’ antichissimo rituale della stipulazione del patto federale tra le comunità, patto sancito dalla Confraternita Atiedia, che della federazione stessa è espressione. La sacralità del "patto a dieci" e del dettato cerimoniale ormai costituitosi impedivano ogni variazione, sicché l'elenco dei contraenti, evidentemente variato nel tempo, è stato aggiornato attraverso un "escamotage": le comunità che hanno aderito al patto federale dopo la sua stipulazione iniziale sono entrate come estensione di una delle dieci comunità originarie, presentandosi insomma come "clonazioni" delle stesse.
La colletta del farro consacrante
È stata accuratamente valutata la quantità di farro selezionato che i due incaricati devono ricevere dalle varie comunità in occasione delle “riunioni tributarie”: si tratta in tutto di kg. 8,186, esattamente pari a un modio romano. Un quantitativo chiaramente simbolico e troppo scarso per permetterne la semina (per uno iugero occorreva seminare 4 o 5 modii di farro), sicché non resta che ritenere che il farro raccolto dai due uomini fosse destinato a divenire farina consacrante, poni frehto (F.Roncalli, Sulla cultura del farro nell’Italia Antica, Atti del Convegno CEDRAV 1995).
Il nome degli Umbri
Nelle tavole non compare mai il termine “Umbri”, anche se è certo che fin dalle epoche più remote questo nome fosse usato in riferimento agli abitanti di una vastissima zona tra il Po e il Tevere, come testimoniano gli storici greci. Non va poi dimenticato che in una iscrizione picena arcaica si dice “nell’agro Umbro” (ombriìen akren) e che un personaggio in territorio etrusco si firmava Ombrikos nel VI sec.a.C.
L’unità culturale umbro-piceno-sabina
Si può anche assegnare un supporto archeologico all'unità culturale che nei primi secoli del primo millennio a.C. abbraccia il mondo piceno, quello umbro e quello sabino. Già all'inizio degli anni Sessanta si era infatti individuata la sostanziale unità delle facies culturali dell'intera area nei secoli dal IX al VI a.C. In particolare: l'identità del sistema di sepoltura, costituito dalle cosiddette tombe a circolo, la presenza dello stesso culto della dea Cupra, l'usanza di porre nei santuari i bronzetti votivi del cosiddetto Marte italico, l'impiego di dischi ornati come pettorale e schienale di corazza (si pensi al tipo rappresentato nel famoso guerriero di Capestrano). L'epoca di pertinenza dei reperti garantisce che si ha di fronte una serie di manifestazioni della cultura "safina", la cui uniformità è certamente stata favorita dall'uniformità del sostrato ("paleoumbro") già presente nel territorio. Né per oggetti come questi si può pensare al fenomeno della diffusione lungo linee commerciali, giacché si tratta in buona parte di evidenti espressioni di ideologia, culto e tradizione comuni, come è dimostrato da diversi passi delle Tavole di Gubbio.
L’incontro con le grandi potenze
L'esistenza di una realtà politica umbra diviene un fatto storico quando la tradizione letteraria attesta la partecipazione degli Umbri come alleati degli Etruschi alle spedizioni contro Cuma e la Campania, nel VI sec. a.C.; avventura che si concluderà con la sconfitta di fronte all'alleanza tra Cumani e Romani. Iniziano così indirettamente le ostilità tra Umbri e Romani, che durarono due secoli, senza tuttavia che la tradizione storica ne abbia fatto un tema di rilievo.
La penetrazione romana
Nel 310 a.C. il console Fabio Massimo Rulliano stabilisce un patto di alleanza con la tota umbra di Camerte (odierna Camerino) e nel 309 un'altra tota umbra, Ocriculum (odierna Otricoli), diviene alleata di Roma. Nel 299 Roma conquista la tota umbro-sabina di Nequinum e vi fonda la colonia romana di Narnia (odierna Narni). Nel 295 nel territorio della tota umbra di Sentinum cade il baluardo che si opponeva alla penetrazione romana verso nord. L'unico tentativo serio di ribellione a Roma dopo quella data sarà quello degli Umbri di Sarsina, conquistata definitivamente nel 266 a.C.
29 giugno 2014
Amelia siti archeologici
Amelia
Fondata secondo la tradizione riportata da Catone nel 1134 a. C., Amelia fu centro umbro fortificato, cinto da un'ampia e imponente cerchia muraria nel III secolo a.C. Divenne Municipio Romano nel 90 a.C. Grande importanza ebbe la Via Amerina o Vejetana che , in epoca medioevale, fu l'unica via dell'Esarcato detta "Corridoio Bizantino", alternativa alla via Flaminia, occupata dai Longobardi. Molti autori latini quali Virgilio, Varrone, Columella, hanno ricordato Amelia ed il particolare tipo di agricoltura del territorio amerino nelle loro opere.
Cisterna romana
Testimonianza notevole di archeologia e importante esempio dell'ingegneria idraulica dei Romani: sono 10 ambienti di grandi dimensioni realizzati tra il I e il II sec. d.C. per l'approvvigionamento idrico della città. Dimensioni medie comprese tra 18,80 -19,60 m. di lunghezza e 5,00-5,10 m. di larghezza. L'altezza è di 6 m. circa in chiave di volta. Il primo vano viene considerato il più interessante essendo l’unico a non aver subito rifacimenti in epoche successive. A seconda dell’importanza e del territorio da rifornire, le cisterne erano dotate di vari pozzetti (lumina), canali, boccagli e vere da pozzo usati dalla popolazione per il rifornimento.
Mura poligonali
Questa opera monumentale è eccezionale per estensione, vetustà e stato di conservazione. Le mura preromane del VI sec. a.C., le più antiche, si trovano all'interno del centro storico, tra il Teatro Sociale e la Porta della Valle. Sono costituite da grandi blocchi calcarei e in superficie sono ancora allo stato grezzo. Il tratto preromano, del IV sec. a.C., si estende ai due lati della centralissima Porta Romana, per circa 800 metri, ed è formato da blocchi megalitici, detti poligonali per la loro forma, geometrica ma non regolare.
Mausoleo di Gentiliana Roscia detto "Trullo"
A testimonianza dell’impero dei Cesari ci sono i resti del Mausoleo di Gentiliana Roscia chiamato ”Trullo”, situato fuori le mura lungo la via Ortana.
Fondata secondo la tradizione riportata da Catone nel 1134 a. C., Amelia fu centro umbro fortificato, cinto da un'ampia e imponente cerchia muraria nel III secolo a.C. Divenne Municipio Romano nel 90 a.C. Grande importanza ebbe la Via Amerina o Vejetana che , in epoca medioevale, fu l'unica via dell'Esarcato detta "Corridoio Bizantino", alternativa alla via Flaminia, occupata dai Longobardi. Molti autori latini quali Virgilio, Varrone, Columella, hanno ricordato Amelia ed il particolare tipo di agricoltura del territorio amerino nelle loro opere.
Cisterna romana
Testimonianza notevole di archeologia e importante esempio dell'ingegneria idraulica dei Romani: sono 10 ambienti di grandi dimensioni realizzati tra il I e il II sec. d.C. per l'approvvigionamento idrico della città. Dimensioni medie comprese tra 18,80 -19,60 m. di lunghezza e 5,00-5,10 m. di larghezza. L'altezza è di 6 m. circa in chiave di volta. Il primo vano viene considerato il più interessante essendo l’unico a non aver subito rifacimenti in epoche successive. A seconda dell’importanza e del territorio da rifornire, le cisterne erano dotate di vari pozzetti (lumina), canali, boccagli e vere da pozzo usati dalla popolazione per il rifornimento.
Mura poligonali
Questa opera monumentale è eccezionale per estensione, vetustà e stato di conservazione. Le mura preromane del VI sec. a.C., le più antiche, si trovano all'interno del centro storico, tra il Teatro Sociale e la Porta della Valle. Sono costituite da grandi blocchi calcarei e in superficie sono ancora allo stato grezzo. Il tratto preromano, del IV sec. a.C., si estende ai due lati della centralissima Porta Romana, per circa 800 metri, ed è formato da blocchi megalitici, detti poligonali per la loro forma, geometrica ma non regolare.
Mausoleo di Gentiliana Roscia detto "Trullo"
A testimonianza dell’impero dei Cesari ci sono i resti del Mausoleo di Gentiliana Roscia chiamato ”Trullo”, situato fuori le mura lungo la via Ortana.
8 maggio 2014
Festa dei ceri
Nella Bolla di canonizzazione di S. Ubaldo, Papa Celestino III invitava gli Eugubini ha celebrare la festività del loro Patrono “hilariter”, cioè con allegrezza. Tale avverbio non è stato ritrovato in nessun’altra Bolla Papale; il che significa che già esisteva in Gubbio questo tono allegro e di giubilo tra il popolo, forse in ricordo dello scampato pericolo quando la città fu risparmiata dalla distruzione o quando sorse un’atmosfera di pace e di amicizia negli anni successivi alla morte del Santo. I suoi
4 maggio 2014
Burri
Alberto Burri (1915-1995) è l’artista italiano, insieme a Lucio Fontana, ad aver dato il maggior contributo italiano al panorama artistico internazionale di questo secondo dopoguerra. La sua ricerca artistica è spaziata dalla pittura alla scultura avendo come unico fine l’indagine sulle qualità espressive della materia. Ciò gli fa occupare a pieno titolo un posto di primissimo piano in quella tendenza che viene definita «informale».
Nato a Città di Castello in Umbria, segue gli studi di medicina e si laurea nel 1940. Arruolatosi come ufficiale medico, viene fatto prigioniero a Tunisi dagli inglesi nel 1943. L’anno successivo viene trasferito dagli americani in un campo di prigionia in Texas. Qui inizia la sua attività artistica. Tornato in Italia abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi esclusivamente alla pittura.
Sin dall’inizio la sua ricerca si svolge nell’ambito di un linguaggio astratto con opere che non concedono assolutamente nulla al figurativo in senso tradizionale. Le prime opere che lo pongono all’attenzione della critica appartengono alla serie delle «muffe», dei «catrami» e dei «gobbi». Questa opere, che esegue tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta, conservano un carattere essenzialmente pittorico, in quanto sono costruite secondo la logica del quadro. Le immagini, ovviamente astratte, sono ottenute, oltre che con colori ad olio, con smalti sintetici, catrame e pietra pomice. Nella serie dei «gobbi» introduce la modellazione della superficie di supporto con una struttura di legno, dando al quadro un aspetto plastico più evidente.
Alla prima metà degli anni Cinquanta appartiene la sua serie più famosa: quella dei «sacchi». Sulla tela uniformemente tinta di rosso o di nero incolla dei sacchi di iuta. Questi sacchi hanno sempre un aspetto «povero»: sono logori e pieni di rammenti e cuciture. Al loro apparire fecero notevole scandalo: ma la loro forza espressiva, in linea con il clima culturale del momento dominato dal pessimismo esistenzialistico, ne fecero presto dei «classici» dell’arte. Con alcune mostre tenute da Burri in America tra il 1953 e il 1955 avviene la sua definitiva consacrazione a livello internazionale.
La sua ricerca sui sacchi dura solo un quinquennio. Dal 1955 in poi si dedica a nuove sperimentazioni che coinvolgono nuovi materiali. Inizialmente sostituisce i sacchi con indumenti quali stoffe e camicie. La sua ricerca è in sostanza ancora tesa alla sublimazione poetica dei rifiuti: degli oggetti usati e logorati ne evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi dell’esistenza non solo umana ma potremmo dire cosmica.
Nato a Città di Castello in Umbria, segue gli studi di medicina e si laurea nel 1940. Arruolatosi come ufficiale medico, viene fatto prigioniero a Tunisi dagli inglesi nel 1943. L’anno successivo viene trasferito dagli americani in un campo di prigionia in Texas. Qui inizia la sua attività artistica. Tornato in Italia abbandona definitivamente la medicina per dedicarsi esclusivamente alla pittura.
Sin dall’inizio la sua ricerca si svolge nell’ambito di un linguaggio astratto con opere che non concedono assolutamente nulla al figurativo in senso tradizionale. Le prime opere che lo pongono all’attenzione della critica appartengono alla serie delle «muffe», dei «catrami» e dei «gobbi». Questa opere, che esegue tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta, conservano un carattere essenzialmente pittorico, in quanto sono costruite secondo la logica del quadro. Le immagini, ovviamente astratte, sono ottenute, oltre che con colori ad olio, con smalti sintetici, catrame e pietra pomice. Nella serie dei «gobbi» introduce la modellazione della superficie di supporto con una struttura di legno, dando al quadro un aspetto plastico più evidente.
Alla prima metà degli anni Cinquanta appartiene la sua serie più famosa: quella dei «sacchi». Sulla tela uniformemente tinta di rosso o di nero incolla dei sacchi di iuta. Questi sacchi hanno sempre un aspetto «povero»: sono logori e pieni di rammenti e cuciture. Al loro apparire fecero notevole scandalo: ma la loro forza espressiva, in linea con il clima culturale del momento dominato dal pessimismo esistenzialistico, ne fecero presto dei «classici» dell’arte. Con alcune mostre tenute da Burri in America tra il 1953 e il 1955 avviene la sua definitiva consacrazione a livello internazionale.
La sua ricerca sui sacchi dura solo un quinquennio. Dal 1955 in poi si dedica a nuove sperimentazioni che coinvolgono nuovi materiali. Inizialmente sostituisce i sacchi con indumenti quali stoffe e camicie. La sua ricerca è in sostanza ancora tesa alla sublimazione poetica dei rifiuti: degli oggetti usati e logorati ne evidenzia tutta la carica poetica come residui solidi dell’esistenza non solo umana ma potremmo dire cosmica.
26 aprile 2014
Chiesa della Vittorina
Chiesa della Vittorina
E'costruita nel luogo in cui, secondo la tradizione, S. Francesco incontrò il lupo di Gubbio. Francesco, nel 1213, ottiene in affidamento dai benedettini di S. Pietro, la piccola chiesa di S. Maria della Vittoria, i francescani continueranno ad abitarla fino al 1240 d.C., anno in cui si trasferiscono nel nuovo convento. L'esterno della "Vittorina" non presenta decorazioni riferibili al tempo della costruzione, i muri sono in pietra locale, sorreggono la copertura a capanna e delimitano un ambiente quadrangolare di modeste dimensioni, dal quale emerge solo l'abside a pianta rettangolare. Quest'ultima, nel XV secolo, è ridotta dalla costruzione di un muro per l'alloggiamento di una crocifissione. All'interno, le pareti della navata vengono adornate con affreschi del'400, mentre i quattordici quadretti riproducenti le storie della Madonna risalgono al ‘600.
Numerosi affreschi votivi, per lo più dell’inizio del sec. XVI, ricoprono le pareti laterali della chiesa. Dietro l’altare, con bella mostra lapidea, è dipinta una Crocifissione attribuita a Orlando Merlini. Altre pitture si trovano nella cappella laterale (Storie di S. Francesco del 1639, Madonna col Bambino e Santi, tela di Giovanni M. Baldassini).
La costruzione originaria della chiesetta si fa risalire al secolo IX, nel punto in cui gli eugubini avevano battuto i saraceni. Per questo era stata chiamata Vittorina. All’interno, le pareti dell’unica navata, vengono arricchite, nel Quattrocento, con decorazioni a fresco, mentre sono seicenteschi i quattordici quadretti con le storie della Madonna.
22 aprile 2014
LA NECROPOLI DI STROZZACAPPONI
Lungo la strada che da Perugia conduce verso il lago Trasimeno sorgeva uno dei maggiori insediamenti di carattere produttivo e artigianale.La zona, attualmente ai confini fra i comuni di Perugia e di Corciano, era ed è tuttora ricca di giacimenti di travertinoLa necropoli etrusca, formata da decine di tombe a camera, di cui 75 note, testimonia la presenza di una comunità di artigiani dediti alla lavorazione del travertino.Del nucleo urbano non restano tracce archeologiche.Resta invece un’ampia necropoli, nella quale erano deposti i nuclei familiari di quegli operai ed artigiani: le tombe, a camera con dromos di accesso e scalinata, sono state scavate nel banco di travertino; all’interno delle camere rettangolari vi sono banchine per la deposizione delle urne cinerarie e dei corredi.Le urne, di solito non decorate, sono spesso personalizzate con il nome del defunto scolpito o dipinto sul coperchio.
16 aprile 2014
La sacra Spina - Montone
La Sacra Spina
Le sacre spine sono il simbolo estremo della passione di Gesù Cristo, segno di una regalità autentica, paradossale rispetto a quelle umane. La storia della corona di Cristo è densa di suggestioni. Il ritrovamento delle reliquie della passione è attribuito Sant’Elena madre dell’imperatore Costantino, la quale durante un pellegrinaggio sul Golgota, rinvenne la croce e i chiodi della crocefissione.
La corona di spine sembrerebbe non far parte del ritrovamento.
Tuttavia le prime spine di cui si ha notizia sono quelle donate da Sant’Elena nel 323 a Roma, provenienti da Gerusalemme dove la corona restò certamente fino al IV secolo, presenza confermata da S. Paolino da Nola. Fino al 1200, le notizie sono frammentarie e non sempre attendibili.
Nel 1204 la corona di Cristo era venerata a Costantinopoli nella cappella di Santa Maria del Faro. Da questo momento la reliquia divenne oggetto di trattative e scambio. Nella cristianità del XIII secolo, grande manifestazione di devozione, e fonte di grande prestigio è il possesso di reliquie, pertanto la corsa al collezionismo da parte di re, stati, città, creò un vero e proprio mercato capace di far lievitare i prezzi di quelle più rare e, cosa di non minor conto, capace di favorire le falsificazioni.
L’imperatore di Costantinopoli, Baldovino II, per far fronte alle spese di guerra, ottenne un prestito dai veneziani offrendo in pegno la Corona di spine, alla scadenza del pegno Luigi IX di Francia, il re santo, offrì a Baldovino II il riscatto per la Corona che in questo modo sarebbe stata trasportata in Francia. I veneziani non accettarono di buon grado l’idea di essersi fatti sfuggire di mano una tale insigne reliquia e dopo lunghe trattative ottennero che la Corona fosse trasportata a Venezia, perché la città godesse dei benefici, seppur temporanei, della sua presenza: la protezione, i favori, il prestigio. Trasportata infine a Parigi, in una solenne processione penitenziale, il re a piedi nudi e vestito da penitente consegna la Corona all’arcivescovo. Al glorioso reliquiario San Luigi fece erigere, nel 1248, la Sainte-Chapelle, e non perse l’occasione di associare la gloria del re al quella di Dio.
La corona è oggi custodita a Notre Dame ed è un serto senza spine.
Tra il 1470 e il 1477 Carlo Fortebracci, conte di Montone, per le sue virtù militari, ereditate di certo dal padre Braccio, combatteva al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia, qui ricevette in dono una Spina della Corona del Cristo, la portò in dono a Montone e ne decretò la festa il Lunedì dell’Angelo. La leggenda racconta che la Spina fiorisse il Venerdì Santo emanando un dolcissimo profumo.
Il richiamo della reliquia era talmente grande, i pellegrini tanto numerosi, che nei primi anni del ‘600, per motivi di ordine pubblico, fu ordinata una seconda ostensione. Dal 1798, quando la chiesa di S. Francesco fu incendiata, la Spina nel suo prezioso reliquiario è custodita dalle suore del Convento di S. Agnese.
Se ne festeggia l’ostensione il Lunedì dell’Angelo e la penultima domenica di Agosto in un clima intriso di religiosità popolare e storia.
9 aprile 2014
Gubbio - Il Monte Ingino
Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.
Dalla Divina Commedia - Canto 11 del Paradiso
Tra ' due liti d'Italia surgon sassi, e non molto distanti a la tua patria
Il monte Catria
« Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che' troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria. »
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto ventunesimo del Paradiso, versi 106-111)
Il monte Catria è una montagna dell'Appennino umbro-marchigiano alta 1701 m s.l.m. posta lungo il confine tra Umbria e Marche, all'interno del territorio dei comuni di Cagli, Cantiano, Frontone e Serra Sant'Abbondio, in provincia di Pesaro e Urbino e del comune di Scheggia e Pascelupo, in provincia di Perugia. Fa parte delle comunità montane del Catria e Nerone e del Catria e Cesano (PU) e dell'Alto Chiascio (PG).
Il gruppo del Monte Catria comprende inoltre altre cime minori: il monte Acuto (1668 m), le Balze degli Spicchi (1526 m), il corno di Catria (1186 m), il monte Tenetra (1240 m), il monte Alto (1321 m) e il monte Morcia (1223 m). L'altimetria segna dunque le quote più elevate di questa parte settentrionale dell'Appennino umbro-marchigiano; le vette del monte Catria e del monte Acuto sono peraltro le più alte nel tratto appenninico compreso tra la catena dei monti Sibillini a sud e l'alto Appennino bolognese con il corno alle Scale (1945 m), a nord.
Dal Catria nascono i fiumi Cesano, Artino, e Cinisco. Data l'imponenza, il grande massiccio è percorribile per tortuosi sentieri o strade asfaltate fin sulla cima, da dove si domina l'Italia centrale e la costa adriatica in un vastissimo panorama. Si può salire da Chiaserna di Cantiano, Val d'Orbia, Isola Fossara, Montelago di Sassoferrato, Serra Sant'Abbondio, Frontone, Colombara.
« Tra ' due liti d'Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che' troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria. »
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Canto ventunesimo del Paradiso, versi 106-111)
Il monte Catria è una montagna dell'Appennino umbro-marchigiano alta 1701 m s.l.m. posta lungo il confine tra Umbria e Marche, all'interno del territorio dei comuni di Cagli, Cantiano, Frontone e Serra Sant'Abbondio, in provincia di Pesaro e Urbino e del comune di Scheggia e Pascelupo, in provincia di Perugia. Fa parte delle comunità montane del Catria e Nerone e del Catria e Cesano (PU) e dell'Alto Chiascio (PG).
Il gruppo del Monte Catria comprende inoltre altre cime minori: il monte Acuto (1668 m), le Balze degli Spicchi (1526 m), il corno di Catria (1186 m), il monte Tenetra (1240 m), il monte Alto (1321 m) e il monte Morcia (1223 m). L'altimetria segna dunque le quote più elevate di questa parte settentrionale dell'Appennino umbro-marchigiano; le vette del monte Catria e del monte Acuto sono peraltro le più alte nel tratto appenninico compreso tra la catena dei monti Sibillini a sud e l'alto Appennino bolognese con il corno alle Scale (1945 m), a nord.
Dal Catria nascono i fiumi Cesano, Artino, e Cinisco. Data l'imponenza, il grande massiccio è percorribile per tortuosi sentieri o strade asfaltate fin sulla cima, da dove si domina l'Italia centrale e la costa adriatica in un vastissimo panorama. Si può salire da Chiaserna di Cantiano, Val d'Orbia, Isola Fossara, Montelago di Sassoferrato, Serra Sant'Abbondio, Frontone, Colombara.
29 marzo 2014
La madonna del parto
La Madonna del Parto di Piero della Francesca
Mostre Nella piccola chiesa di Santa Maria a Momentana, isolata in mezzo al verde delle pendici collinari di Monterchi, Piero della Francesca dipinse in soli sette giorni uno dei suoi più noti e ammirati capolavori, che oggi richiama nella Val Tiberina visitatori da tutto il mondo.
La datazione esatta dell`opera è incerta, oscillando a seconda delle teorie dal 1450 a oltre il 1475. Non sono chiare le motivazioni della committenza né della scelta del soggetto, tema piuttosto frequente nell’iconografia spagnola, ma del tutto insolito in quella italiana. L’affresco rappresenta infatti la Vergine incinta, raffigurata in piedi al centro di una preziosa tenda damascata, i cui lembi sono tenuti aperti ai due lati da una coppia di angeli perfettamente simmetrici fra loro. Estremamente giovane, Maria è colta di tre quarti, in una posa regale, ma anche di grande realismo. La sua condizione umana è evidenziata dalla veste leggermente aperta sul corpo rigonfio e dalla gestualità naturale (comune in ogni gestante) con cui poggia una mano sul ventre, mentre l’altra è puntata su un fianco a sorreggerne il peso.
Il dipinto ornava in origine la parete di fondo dell’altare maggiore dell’antica chiesa di Santa Maria di Momentana (XIII sec.), già di Santa Maria in Silvis. Nel 1785 la chiesa fu distrutta da un terremoto che lasciò in piedi la sola parete con l`affresco. Successivamente l`opera fu staccata a massello dal muro ed inserita nella Cappella del cimitero. A partire dalla sua riscoperta nel 1889, in momenti diversi del secolo scorso l’affresco fu più volte mutato di sede, venendo prima staccato dalla parete originaria per ragioni conservative e in seguito restaurato. Attualmente si trova nel Museo della Madonna del Parto del Comune di Monterchi, ma la sua collocazione definitiva è tuttora oggetto di contenzioso tra il comune stesso, la Soprintendenza dei Beni Culturali e la Diocesi.
13 marzo 2014
La roveja
Oggi parliamo di un presidio slow food: la roveja civita di Cascia. La roveja è un piccolo legumesimile al pisello, dal seme colorato che va dal verde scuro al marrone, grigio. Nei secoli passati era coltivato su tutta la dorsale appenninica umbro-marchigiana, in particolare sui Monti Sibillini, dove i campi si trovavano anche a quote elevate: la roveja è resistente anche alle basse temperature, si coltiva in primavera-estate e non ha bisogno di molta acqua. Cresce anche in forma spontanea, lungo le scarpate e nei prati, ma nei secoli passati era protagonista dell’alimentazione dei pastori e contadini dei Sibillini con altri legumi poveri quali lenticchie, cicerchie, fave. Proprio perché cresce da sempre anche selvatico alcuni ricercatori sostengono che si tratti di un progenitore del pisello comune. Secondo altri invece è una vera e propria specie (Pisum arvense) differente da quella del pisello (Pisum sativum), in ogni caso la classificazione botanica è ancora indefinita. Esiste invece un totale accordo sulla sua valenza nutritiva: è molto proteica, in particolare se consumata secca, ha un altro contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. Oggi è stata pressochè abbandonata ovunque e resistono solo pochi agricoltori nella val Nerina, in particolare a Cascia dove, in una località chiamata Preci, c’è una fonte detta dei rovegliari. In questa vallata la roveja si semina a marzo a un’altitudine che va dai 600 ai 1200 metri e si raccoglie tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. La battitura è simile a quella della lenticchia: quando la metà delle foglie è ingiallita e i semi sono diventati cerosi, si sfalciano gli steli e si lasciano sul prato ad essiccare. Quando l’essicamento è completato si portano sull’aia e si trebbiano. Si deve poi liberare la granella dalle impurità con una ventilazione che avviene con setacci. La roveja, detta anche roveglia, rubiglio, pisello dei campi, corbello, si può mangiare fresca oppure essiccata, in questo caso diventa un ottimo ingrediente per minestre, zuppe. Macinata a pietra, si trasforma in una farina dal lieve retrogusto amarognolo che serve per fare la farecchiata o pesata: una polenta tradizionalmente condita con un battuto di acciughe, aglio e olio extravergine di oliva, buona anche il giorno successivo, affettata e abbrustolita in padella.
12 marzo 2014
Appunti dall'Umbria - Assisi, Gubbio, Perugia e dintorni: Il Giubileo Eucaristico Straordinario ad Orvieto
Appunti dall'Umbria - Assisi, Gubbio, Perugia e dintorni: Il Giubileo Eucaristico Straordinario ad Orvieto: Il Giubileo Eucaristico Straordinario ad Orvieto (Tr) Il grande evento religioso concesso da Papa Benedetto XVI dal 13 gennaio 2013 al 16...
Il Giubileo Eucaristico Straordinario ad Orvieto
Il Giubileo Eucaristico Straordinario ad Orvieto (Tr) Il grande evento religioso concesso da Papa Benedetto XVI dal 13 gennaio 2013 al 16 novembre 2014
L' evento religioso è stato concesso da Papa Benedetto XVI in occasione del 750° anniversario del Miracolo di Bolsena e della FESTA DEL CORPUS DOMINI. I luoghi del Giubileo sono il Duomo di Orvieto e quello di Santa Cristina a Bolsena. Ad Orvieto il 13 gennaio 2013 è stata aperta la porta Santa del Corporale, uno dei passaggi necessari per ottenere L'INDULGENZA PLENARIA fino al 16 novembre 2014, data prevista per la conclusione del Giubileo.
Il percorso giubilare inizia dall'ingresso del tunnel sotterraneo al Duomo, sottostante la cappella di San Brizio, sul lato destro del Duomo. L'ufficio accoglienza pellegrini della Segreteria del Giubileo Eucaristico (sala Pieri del Vescovado, lato destro del Duomo) consegna il pass ed appone il timbro del percorso giubilare.
Il percorso giubilare inizia dall'ingresso del tunnel sotterraneo al Duomo, sottostante la cappella di San Brizio, sul lato destro del Duomo. L'ufficio accoglienza pellegrini della Segreteria del Giubileo Eucaristico (sala Pieri del Vescovado, lato destro del Duomo) consegna il pass ed appone il timbro del percorso giubilare.
1 marzo 2014
Sensational Umbria
One hundred images of Steve McCurry, with over seventy unpublished, are the contents of the exhibition "Sensational Umbria" which will open in Perugia from 29 March to 5 October 2014. The exhibition recounts the journey that the artist has made in Umbria, with the goal of telling a land rich in time , suggestions of the past but also the ability of its inhabitants to live the present epoch . The exhibition is sponsored and organized by the Umbria Region in collaboration with the Municipality of Perugia, for the most part will be placed in the spaces Ex- Fatebenefratelli soon recovered and opened for the occasion. A portion of the images will be placed in the Museum of Palazzo Penna , in the Hall of Boards of Beuys.
The Project Sensational Umbria is made by the Umbria Region as part of a strategy of territorial development which in time will affirm the brand Umbria. Steve McCurry has done work of documentation of territorial values taking advantage of the most significant aspects of contemporary Umbria .The choice of photography has allowed the region to speak a universal language , that of images , enabling communication skills and emotional expression hardly comparable with other instruments. The project has been through a few clicks premiered at Fuorisalone di Milano, at the Pinacoteca di Brera , then Marseilles, New York, Perugia, Assisi and Orvieto. At the time of the Project will include presentations in Shanghai, Terni, Città di Castello.
The exhibition in Perugia, in the two locations identified, will open March 29 to close on 5 October, and will be open every day from 10.30 to 19.00 with the exception of Mondays, unless otherwise indicated.
On Saturday you can visit the exhibition until 23. Any change will be immediately communicated through the site www.sensationalumbria.eu. The cost of the ticket is 6,50 Euros and there are multiple and different facilities.
The Project Sensational Umbria is made by the Umbria Region as part of a strategy of territorial development which in time will affirm the brand Umbria. Steve McCurry has done work of documentation of territorial values taking advantage of the most significant aspects of contemporary Umbria .The choice of photography has allowed the region to speak a universal language , that of images , enabling communication skills and emotional expression hardly comparable with other instruments. The project has been through a few clicks premiered at Fuorisalone di Milano, at the Pinacoteca di Brera , then Marseilles, New York, Perugia, Assisi and Orvieto. At the time of the Project will include presentations in Shanghai, Terni, Città di Castello.
The exhibition in Perugia, in the two locations identified, will open March 29 to close on 5 October, and will be open every day from 10.30 to 19.00 with the exception of Mondays, unless otherwise indicated.
On Saturday you can visit the exhibition until 23. Any change will be immediately communicated through the site www.sensationalumbria.eu. The cost of the ticket is 6,50 Euros and there are multiple and different facilities.
29 gennaio 2014
Carnevale in Umbria 2014
Festeggiamenti carnevaleschi in Umbria con numerose manifestazioni, sfilate di carri allegorici, esibizioni di maschere e degustazioni di dolci tipici
Anche il Carnevale 2014, che inizia il 17 gennaio, giorno della festa di Sant'Antonio Abate, e termina il 04 marzo, è all'insegna di celebrazioni giocose e fantasiose, centrate sulla tradizione del mascheramento e accompagnate da gustosi dolci tipici carnevaleschi quali struffoli, frittelle e castagnole. Alcuni centri umbri si trasformano in vere e proprie “città del Carnevale”, come Sant'Eraclio di Foligno che ha portato il suo Carnevale dei Ragazzi, uno dei più antichi dell'Umbria.
Spettacolarità e travestimento sono infatti gli elementi distintivi del carnevale, le cui origini affondano in antiche festività pagane come le dionisiache greche e i saturnali romani, espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.
Ma il carnevale è parte della tradizione cristiana ed è una festa che si celebra nel periodo di tempo immediatamente precedente alla Quaresima e termina sempre il martedì che precede il giorno delle Ceneri, detto popolarmente Martedì grasso. Il significato della parola carnevale, che deriva dal latino “carmen levare” (eliminare la carne), indica l'uso, in antico, di banchettare subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Molti gli appuntamenti in diverse località dell’Umbria dove tutti possono trasformarsi e partecipare ai festeggiamenti tanto originali da richiamare turisti e visitatori da ogni parte del paese.
Da non perdere le sfilate dei carri allegorici, i gruppi mascherati e le bande musicali del Carnevale di Acquasparta (TR) e di Carnevalandia a Todi (PG), del Carnevale di San Sisto (PG) e del Carnevale di Spoleto (PG).
Di seguito i principali appuntamenti del Carnevale in Umbria:
Carnevale dei Ragazzi di Sant'Eraclio di Foligno
Carnevale di Acquasparta
Carnevale a San Sisto di Perugia
Il Carnevale di Perugia
Le giornate del Bartoccio a Perugia
Carnevale di Todi
Carnevale dei Ragazzi a Gubbio
Carnevale in piazza a Città di Castello
Spettacolarità e travestimento sono infatti gli elementi distintivi del carnevale, le cui origini affondano in antiche festività pagane come le dionisiache greche e i saturnali romani, espressione del bisogno di un temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell'ordine, allo scherzo ed anche alla dissolutezza.
Ma il carnevale è parte della tradizione cristiana ed è una festa che si celebra nel periodo di tempo immediatamente precedente alla Quaresima e termina sempre il martedì che precede il giorno delle Ceneri, detto popolarmente Martedì grasso. Il significato della parola carnevale, che deriva dal latino “carmen levare” (eliminare la carne), indica l'uso, in antico, di banchettare subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima.
Molti gli appuntamenti in diverse località dell’Umbria dove tutti possono trasformarsi e partecipare ai festeggiamenti tanto originali da richiamare turisti e visitatori da ogni parte del paese.
Da non perdere le sfilate dei carri allegorici, i gruppi mascherati e le bande musicali del Carnevale di Acquasparta (TR) e di Carnevalandia a Todi (PG), del Carnevale di San Sisto (PG) e del Carnevale di Spoleto (PG).
Di seguito i principali appuntamenti del Carnevale in Umbria:
Carnevale dei Ragazzi di Sant'Eraclio di Foligno
Carnevale di Acquasparta
Carnevale a San Sisto di Perugia
Il Carnevale di Perugia
Le giornate del Bartoccio a Perugia
Carnevale di Todi
Carnevale dei Ragazzi a Gubbio
Carnevale in piazza a Città di Castello
Carnevale delle Meraviglie ad Assisi
Carnevale di Spoleto
Carnevale di Spoleto
19 gennaio 2014
Castello Bufalini
CASTELLO BUFALINI - SAN GIUSTINO
Il paesaggio che fa da cornice al Castello Bufalini è quello urbano del centro storico della città valtiberina di San Giustino, alle falde dell’appennino nord dell’Umbria. Il complesso rinascimentale, definito dallo storico Giovanni Magherini Graziani “villa dentro una fortezza”, è situato in una zona di confine tra Umbria, Toscana, Marche e Romagna.
Nasce come fortezza militare alla fine del XV quando Città di Castello, per arginare gli attacchi dei nemici, decise di costruire un castello fortificato su progetto dell'architetto romano Mariano Savelli sul luogo di un fortilizio preesistente di proprietà della famiglia Dotti, ormai in rovina a seguito degli eventi bellici del tempo.
Poichè la costruzione richiedeva un ingente capitale, nel 1487 il Castello fu donato a Niccolò di Manno Bufalini, cittadino tifernate e ricco possidente terriero in San Giustino, con l'obbligo di completare i lavori sotto la direzione di Giovanni e di Camillo Vitelli e di difendere il maniero in caso di guerre.
La fortezza fu costruita a forma di quadrato irregolare con torri angolari raccordate da camminamenti merlati, su cui domina la mole della torre maestra; il tutto ulteriormente difeso da un ampio e profondo fossato a pianta stellare con ponte levatoio.
Nel 1500, con il consolidarsi della potenza economica e politica della famiglia Bufalini divenuta di fatto la feudataria del luogo, il Castello fu trasformato in una villa fortificata secondo nuove esigenze sociali, artistiche e culturali.
Nei secoli successivi viene creato un ampio giardino “all’italiana”, uno dei più significativi della regione, nel quale erano presenti le maggiori varietà di frutta, agrumi con limonaia, la ragnaia, fiori rari, erbe officinali, ortaggi ed un labirinto impiantato nel 1692, tuttora esistente. Il parco è ricco di fontane e a fare da leitmotiv è il canale scoperto per lo scorrimento dell’acqua che le collega.
Oggi Palazzo Bufalini offre al visitatore la possibilità di percorrere un viaggio nel passato: in tutti gli ambienti sono conservati, oltre agli affreschi, un gran numero di quadri, di mobili, di lampadari e di suppellettili (tra cui anche busti di epoca romana) che fanno del palazzo un raro esempio di nobile dimora giunta fino a noi stupendamente conservata ed arredata. Tra i quadri da ricordare due splendide Madonne, una del Pinturicchio e l'altra attribuita ad artista della bottega del Signorelli. Le opere d’arte sono distribuite lungo il percorso museale non in senso cronologico, ma secondo il gusto e gli interessi dei vecchi proprietari. La storia stessa dei Bufalini, ricostruita tramite i documenti dell’archivio e caratterizzata dall’immagine di alcuni di loro, costituisce il filo conduttore della visita.
La natura di alcune parti del Castello, di particolare bellezza e spettacolarità, si prestano a diversificate attività in ambito culturale e per manifestazioni di ampio respiro pubblico, non ultime ambientazioni teatrali nonché location televisive e cinematografiche.
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